domenica 7 marzo 2010

L’ America Latina: dall’indipendenza ottocentesca alle dittature militari alla democrazia incompiuta.

L’ America Latina: dall’indipendenza ottocentesca alle dittature militari alla democrazia incompiuta.
Fine XVIII secolo
All’inizio dell’età contemporanea la situazione dell’America Latina è dominata ancora dalla presenza degli imperi
coloniali di Spagna e Portogallo, che sfruttano le terre per le loro risorse minerarie e agricole, instaurando un proficuo
triangolo commerciale atlantico grazie al commercio degli schiavi neri d’Africa, barattati con i manufatti e venduti alle
piantagioni americane, tornando in Europa carichi di merci preziose. Le terre ed i villaggi (encomiendas) erano controllati
da “encomienderos”, tenuti a rispondere alla madrepatria solo sul fronte economico, mentre avevano una notevole
autonomia politica. Gli indigeni o civiltà pre-colombiane (Aztechi nel Messico, Maya nello Yucatan e Incas nelle Ande)
furono quasi completamente sterminati nell’arco di due secoli anche a causa dell’introduzione di malattie che non erano
pronti a fronteggiare. Perciò agli inizi del 1800 la popolazione dell’America Latina è suddivisa in 20% di Creoli
(discendenti dei colonizzatori), 20% di indigeni, 30% di meticci, 30% di neri. I Creoli avevano tutto il potere economico,
ma quello politico era riservato ai viceré e ai loro funzionari.
Indipendenza
Nel corso del 700 l’opposizione dei Creoli alla madrepatria era stata appoggiata e finanziata dagli Inglesi, che
avevano l’interesse di incrinare il florido commercio spagnolo. Quando Napoleone occupò la Spagna (1808), si determinò
nelle colonie un vuoto di potere, che i Creoli, determinati a porre fine allo sfruttamento economico della madrepatria,
riempirono, creando i primi governi locali. In Paraguay e in Venezuela si giunse alla proclamazione di indipendenza sin
dal 1811.
Dopo il Congresso di Vienna (1814) venne restaurata la monarchia spagnola, che liquidò tutti i regimi indipendenti.
Dal 1817 il movimento indipendentista riprese vigore, avvalendosi di personalità come Josè San Martin con l’epica marcia
attraverso le Ande delle truppe rivoluzionarie argentine e la conseguente liberazione del Cile, la cui indipendenza venne
proclamata nel 1818. Presero vita nuove ondate autonomiste che portarono all’affrancamento della totalità dei Paesi del
Centro e Sud America. Intanto Simon Bolivar, principale leader del movimento indipendentista venezuelano, nel 1819
proclama la nascita della repubblica colombiana, occupando Bogotà. Insieme poco tempo dopo i due conquistano il
controllo di Venezuela, Colombia ed Ecuador. Per il Brasile il processo di liberazione dalle colonie avvenne
prevalentemente per via amministrativa in modo pacifico. Il Messico invece vide una larga partecipazione degli indigeni
alla lotta per l’indipendenza, condotta principalmente dal sacerdote Miguel Hidalgo. Lo stesso generale spagnolo
Augustin, incaricato di sedare i rivoltosi, finì col proclamarsi imperatore del Messico.
In generale gli sbocchi della guerra di liberazione sulla carta si indirizzarono verso il modello repubblicano, ma nel
nuovo assetto dei Paesi latino-americani, spiccava la figura autoritaria del “caudillo”, sintesi di monarca e presidente,
eletto dalle oligarchie creole regionali.
Progressiva egemonia degli USA
Il successo dei movimenti indipendentisti nell’America Latina fu favorito dall’atteggiamento assunto dall’Inghilterra e
dagli Stati Uniti, che con Monroe dichiaravano (1823) che avrebbero opposto la forza ad ogni intervento europeo nel
continente americano. Era la dottrina dell’”America agli Americani”, la quale, presentata come una dichiarazione intesa a
salvaguardare l’integrità territoriale del continente, mirava di fatto ad assicurare agli Stati Uniti un ruolo politico ed
economico preminente su tutto il Nuovo Mondo.
Da lì in avanti, (1947 Patto di Rio de Janeiro) gli Stati Uniti affermano progressivamente la propria tutela
economica sull’America Latina, che per un secolo vede scontrarsi tra loro i neo-Stati. Nel caso del Messico, uscendo
vittoriosi dalla guerra, gli USA strapparono la futura California e New Mexico (1846-48).
Dittatura
Agli inizi del 900 il quadro della società era caratterizzato da formidabili sperequazioni: grandi latifondi con rapporti
di lavoro di tipo semi-feudale. La crisi del ’29 ebbe effetti devastanti sulla fragile economia sudamericana: il crollo delle
grandi aziende svuotò le campagne e folle di contadini disoccupati si riversarono nelle città. La crisi innescò una
situazione di instabilità politica e, contro i ripetuti tentativi rivoluzionari, si profilò una serie di soluzioni reazionarie, con
l’insorgere negli anni Trenta di dittature militari appoggiate dai latifondisti, sulla scia del fascismo europeo. Queste
cercarono di controllare la spinta rivoluzionaria alternando dure repressioni di polizia alla strategia delle riforme,
allargando gradualmente il suffragio, promovendo lavori pubblici, creando i primi servizi sociali nel tentativo di stabilire
una sorta di legalità di facciata, sempre pronta a stroncare ogni forma di opposizione, ma adoperandosi per risollevare
l’economia. Tuttavia una reale modernizzazione stentava a decollare e la produzione restava ancorata al latifondo e alle
condizioni semi-servili della manodopera, impedendo che lo sviluppo economico divenisse fonte di emancipazione.
Democrazia incompiuta
Sola eccezione in questo cupo quadro della lotta politica dell’America Latina, è costituita dal Messico, ove la
democrazia, dopo la vittoriosa rivoluzione del 1910-17, non ha ricevuto più attacchi da parte di giunte militari. Il socialista
Lazaro Cardenas, presidente della repubblica (1934-40), distribuì ai contadini metà delle terre coltivabili, nazionalizzando
le miniere e i pozzi di petrolio, espropriati ai capitalisti statunitensi. Tuttavia oggi il Messico si trova in una situazione
economica, che al pari del resto dell’America Meridionale, pesantemente debitrice dei capitali statunitensi.
A Cuba un impetuoso movimento popolare, guidato da Fidel Castro, abbatté la dittatura fascista di Batista (1959),
sostenuta dagli Stati Uniti, e dette vita ad un regime di tipo comunista. La rivoluzione castrista ebbe ripercussioni in vari
Paesi dell’America Latina, dove il governo cubano promosse azioni di guerriglia, che portarono le masse a mitizzare
figure di ribelli come Ernesto Che Guevara e costituirono un nuovo termine di riferimento per i Paesi insofferenti
dell’egemonia statunitense.
In generale fu la minaccia dell’ordine pubblico e del comunismo a spingere i ceti borghesi su posizioni di
conservazione che aprirono la strada a nuove dittature militari negli anni ’60-’70. I militari liquidarono le proteste con una
brutale repressione che costò la vita a decine di migliaia di oppositori, uccisi o fatti scomparire (desaparecidos). Un caso
esemplare è quello cileno del 1973, in cui il generale Pinochet realizzò un colpo di stato contro il governo del socialista
Allende, cercando immediatamente dopo di ripristinare formalmente la legalità, auto-nominandosi presidente della
Repubblica e stendendo un velo sul passato, ma di fatto stroncando ogni ipotesi democratica. Questi passaggi sono tipici
delle repubbliche dell’America Latina, dove il potere dei militari ha per tutto il Novecento reso particolarmente instabili le
democrazie e anche i cauti ritorni a governi civili vivono in verità ancora oggi una vita molto precaria.

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