domenica 7 marzo 2010

Operazione Condor

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In rosso i Paesi partecipanti all'operazione, in rosa quelli con coinvolgimento parziale



Operazione Condor (Inglese: Operation Condor; Spagnolo: Operación Cóndor; Portoghese: Operação Condor) fu il nome dato dall'establishment dei servizi segreti U.S.A. ad una massiccia operazione di politica estera statunitense, che ebbe luogo negli anni settanta, volta a destabilizzare tutti quegli stati centro e sudamericani in cui si instaurarono o furono sul punto di instaurarsi governi di sinistra, o con una politica di equità sociale pericolosa per gli interessi economici delle multinazionali straniere ed in particolar modo americane.

Tale operazione coinvolse in primo luogo la C.I.A., il servizio segreto statunitense, oltre che apparati militari, organizzazioni di estrema destra, partiti politici e movimenti di guerriglia anticomunisti sudamericani. Tutte queste organizzazioni furono utilizzate come strumento, in svariati stati, per rovesciare governi di solito eletti democraticamente. Furono stanziate sostanziose somme per portare a termine questo massiccio piano politico, poiché gli interessi economici in gioco erano alti, vista la ricchezza, soprattutto di materie prime, del sud America. La C.I.A. fornì sempre e comunque sostegno, copertura, assistenza e denaro ai servizi segreti golpisti sudamericani, nonché addestramento presso il Western Hemisphere Institute for Security Cooperation e anche negli Stati Uniti.

Le procedure per mettere in atto questi piani furono di volta in volta diverse, tutte però ebbero in comune il ricorso sistematico alla tortura e all'omicidio degli oppositori politici[1]. Spesso ambasciatori, politici o dissidenti rifugiati all'estero furono assassinati anche oltre i confini dell'America Latina. Alcune fra le nazioni coinvolte furono Cile, Argentina, Bolivia, Brasile [2], Perù [3], Paraguay e Uruguay.

Indice

1 Storia
1.1 Obiettivi dell'operazione di repressione
1.2 I supporti delle dittature
1.3 I coordinamenti
1.4 La scoperta degli Archivi del terrore
2 Attuazione nei vari stati
2.1 Argentina
2.2 Brasile
2.3 Cile
3 Attentati e omicidi mirati internazionali
3.1 Generale Carlos Prats
3.2 Bernardo Leighton
3.3 Orlando Letelier
4 Coinvolgimento degli Stati Uniti
4.1 Dottrina economico-politica statunitense
5 Coinvolgimento della Francia
6 Agenzie coinvolte nell'Operazione Condor
7 Personaggi coinvolti nell'Operazione Condor
8 Altri progetti terroristici, repressivi e di intelligence legati all'Operazione Condor
9 Note
10 Voci correlate
11 Collegamenti esterni


Storia

L'origine dell'operazione và ricercata in un presunto incontro, avvenuto nel febbraio 1974, tra alcuni elementi di spicco delle polizie segrete di Cile, Bolivia, Argentina, Uruguay e Paraguay con Manuel Contreras, capo della DINA (i servizi segreti di Pinochet), a Santiago del Cile. Ma fu durante la decima conferenza degli eserciti americani del 3 settembre 1973 che il generale brasiliano Breno Borges Fortes propose di estendere le partnership e le collaborazioni tra i vari servizi segreti al fine di combattere il comunismo ed ogni proposito sovversivo [4]. Questa funesta alleanza tra dittature fu patrocinata dagli Stati Uniti, ma molti pensano che sia stata direttamente ordinata dal governo di Washinghton.

Obiettivi dell'operazione di repressione

Gli obiettivi ufficiali delle repressioni dei servizi segreti cooperanti erano i guerriglieri di sinistra che operavano in maniera piuttosto blanda contro le dittature (come i Montoneros argentini o il Movimiento de Izquierda Revolucionaria cileno), ma di fatto si orientò e si accanì contro ogni sorta di opposizione, politica, sociale ed umana. Venivano rapiti, torturati ed uccisi studenti inermi, giornalisti, intellettuali, professori universitari (soprattutto di facoltà umanistiche), sindacalisti, operai, madri e padri che cercavano i propri figli scomparsi, e spesso le violenze non si limitavano al singolo soggetto ritenuto "sovversivo", ma si estendevano anche ai familiari di questo[5].

I supporti delle dittature

Le dittature facenti parte dell'Operazione Condor fruirono dei massicci aiuti americani, in termini di risorse economiche, addestramento e forniture militari, e di preparazione e organizzazione dell'Intelligence. Si appoggiarono anche alle formazioni di estrema destra, che in tutti i casi contribuirono a portarle al potere, e nei momenti di crisi si organizzarono in squadroni armati (Squadroni della morte)[6], per assassinare oppositori politici e militanti di sinistra. Tra le più famigerate organizzazioni repressive di destra vi furono la Tripla A argentina e l'organizzazione Patria y Libertad cilena, entrambe finanziate dalla C.I.A.

I coordinamenti

Nella zona del canale di Panama la C.I.A. aveva istallato una base di coordinamento e comunicazione, adibita al transito di materiali, mezzi, uomini e allo scambio di informazioni di Intelligence tra i vari servizi segreti degli stati collaboranti all'operazione. Le comunicazioni (eseguite di solito via telex) riguardavano piani di rastrellamento, tecniche di tortura da utilizzare, metodi per l'eliminazione dei prigionieri (come i voli della morte teorizzati in Argentina da Luis Maria Mendia e messi successivamente in pratica dalla fine degli anni '70), e informazioni sulle organizzazioni sovversive clandestine.

La scoperta degli Archivi del terrore

Nel 1992 il giudice paraguaiano José Augustín Fernández scopri, durante un'indagine in una stazione di polizia di Asunción, archivi dettagliati che descrivevano la sorte di migliaia di sudamericani segretamente rapiti, torturati ed assassinati tra gli anni settanta e ottanta dalle forze armate e dai servizi segreti di Cile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Bolivia e Brasile. Gli archivi contavano 50.000 persone assassinate, 30.000 scomparse (desaparecidos) e 400.000 incarcerate. Questi archivi, universalmente ritenuti veritieri e attendibili, riferivano del coinvolgimento, in questa enorme operazione repressiva e di vero e proprio sterminio, anche dei servizi segreti di Colombia, Perù e Venezuela. Tali documenti, per le atroci rivelazioni in essi contenute, furono denominati Archivi del terrore.

Attuazione nei vari stati



Cartellone delle Madri di Plaza de Mayo raffigurante alcune foto di desaparecidos








Argentina

La Guerra sporca in Argentina, chiamata dalla giunta militare Processo di Riorganizzazione Nazionale (Proceso de Reorganización Nacional), fu attuata in contemporanea con l'Operazione Condor. Tra il 1976 e il 1983 più di 30.000 persone furono assassinate dalle forze armate e dai carnefici della dittatura [7].

Il SIDE (servizi segreti argentini) diede supporto al generale boliviano Luis García Meza Tejada durante il colpo di stato che lo mise a capo dello stato. L'unità operativa Batallón de Inteligencia 601 dell'intelligence argentina partecipò attivamente al golpe, in collaberazione con le truppe paramilitari reclutate dal criminale di guerra nazista Klaus Barbie (ufficiale della Gestapo soprannominato Il Macellaio di Lione, rifugiatosi in sud america), e dal neofascista italiano Stefano Delle Chiaie (terrorista rifugiato che godeva della protezione dei servizi segreti italiani e americani).

Brasile

Già dal 1964 i regimi militari brasiliani si prodigavano con estrema durezza e violenza nel reprimere e sopprimere i movimenti guerriglieri di sinistra, molto più attivi che in Cile o in Argentina.

Il pubblico ministero italiano Giancarlo Capaldo, che stava investigando su alcuni casi di sparizione di cittadini italiani (probabilmente sequestrati e uccisi da forze congiunte argentine, cilene, paraguaiane e brasiliane), accusò 11 militari brasiliani di essere coinvolti in tali crimini.[8]

Cile

Nel Cile di Pinochet, subito dopo il colpo di stato, arrivarono militari brasiliani "esperti" nelle tecniche di tortura, rapimento ed incarcerazione degli oppositori, nonché di smantellamento delle organizzazioni dichiarate illegali. I servizi segreti cileni riuscirono, grazie all'organizzazione dellOperazione Condor, ad assassinare numerosi personaggi scomodi al regime all'estero, come Orlando Letelier [9][8]. Pinochet godette anch'egli dell'aiuto del neofascista Stefano Delle Chiaie[8] e degli Stati Uniti, che gli commissionarono il golpe del 1973 con il quale salì al potere [10] .

Attentati e omicidi mirati internazionali

Generale Carlos Prats

Il generale Carlos Prats e sua moglie furono assassinati dalla DINA cilena il 30 settembre 1974, con un'autobomba, a Buenos Aires, dove vivevano in esilio. Pinochet e la direzione della DINA, nella persona di Manuel Contreras, furono riconosciuti colpevoli di questo omicidi, per stessa ammissione di Contreras. L'agente segreto cileno Enrique Arancibia Clavel è stato incarcerato in Argentina per questo omicidio.

Bernardo Leighton

Bernardo Leighton, un politico democristiano andato in esilio in Italia dopo il colpo di stato di Pinochet, fu gravemente ferito durante un attentato alla sua persona, il 5 ottobre 1976 a Roma. Un'indagine ha rivelato che l'agente segreto Michael Townley, in qualità di delegato della DINA, incontrò, nel 1975 a Madrid, il terrorista Stefano Delle Chiaie e Virgilio Paz Romero, per organizzare l'assassinio di Leighton, protetti dalla polizia segreta franchista.

Orlando Letelier

Orlando Letelier, ministro del governo di Salvador Allende destituito dal golpe, fu assassinato con un'autobomba il 21 settembre 1976, mentre si trovava in esilio a Washington. Ancora una volta la responsabilità è stata individuata nella DINA, in stretta collaborazione con la C.I.A.

In una lettera aperta apparsa sul Los Angeles Times il 17 dicembre 2004, il figlio di Orlando Letelier, Francisco, scrisse che l'omicidio del proprio padre era ascrivibile all'Operazione Condor, ovvero ad «una rete di intelligence utilizzata da sei dittatori sudamericani dell'epoca, per eliminare i dissidenti».

Coinvolgimento degli Stati Uniti



Henry Kissinger

Gli Stati uniti sono a pieno titolo responsabili dell'instaurarsi delle dittature nell'america latina in quegli anni. Ogni prospettiva di cambiamento nei paesi sudamericani, in vista di un maggior equilibrio e giustizia sociale, minavano gli interessi di molte aziende statunitensi. Lo spauracchio del pericolo comunista era la facciata della preoccupazione che gli investimenti americani venissero scossi con l'emancipazione delle classi operaie e contadine. Tra i più grandi promotori dell'Operazione Condor vi fu il segretario di stato Henry Kissinger e il presidente Richard Nixon.



Dottrina economico-politica statunitense

Gli U.S.A. stanziarono grandi capitali per garantirsi certe sicurezze economiche, e "investirono nelle dittature", sicuri di ottenere un lauto profitto. I regimi militari smantellarono lo stato sociale, abolirono i sindacati e le pensioni, assicurando così guadagni ancor più alti alle compagnie estere, che imponevano ritmi e condizioni di lavoro ad operai e contadini. Le società estere costringevano, tramite i governi militari loro "vassalli", a commerciare prevalentemente con loro. A volte - ai paesi più piccoli - imponevano la monocoltura. Ma più spesso le grandi aziende rivendevano ai paesi sudamericani - a prezzo maggiorato - i beni che essi stessi producevano.

Coinvolgimento della Francia

La giornalista francese Marie-Monique Robin scoprì negli archivi del ministero degli esteri francese (Quai d'Orsay) documenti originali che dimostrano l'attuazione di un piano per creare in Argentina una base operativa militare francese, secondo cui ufficiali francesi, esperti in antiguerriglia e controinsurrezione, addestrarono militari argentini in tecniche di tortura e sequestro di dissidenti ed oppositori politici [11]. Gli ufficiali francesi erano tutti veterani della Guerra d'Algeria, ed addestrati praticamente in tali materie. La collaborazione andò avanti, dagli anni settanta, fino al 1981, anno in cui fu eletto presidente il socialista François Mitterrand. Durante la Battaglia di Algeri circa 30.000 algerini sparirono con le stesse modalità con cui sparirono i desaparecidos in America Latina negli anni settanta. Durante la guerra del 1957 infatti i paracadutisti francesi del colonnello Marcel Bigeard misero a punto tecniche che sarebbero state tramandate ai militari argentini, anche durante corsi alla École Militaire, ove molti ufficiali sudamericani vennero addestrati e formati.

Inoltre Valéry Giscard d'Estaing, presidente francese conservatore, ebbe, durante quegli anni, relazioni segrete con il Cile di Pinochet e l'Argentina delle juntas militari. Diede loro fondi, uomini per l'addestramento, supporto logistico e di intelligence.

Agenzie coinvolte nell'Operazione Condor

C.I.A., servizi segreti statunitensi
DISIP, servizi segreti venezuelani
SIDE, servizi segreti argentini
DINA, servizi segreti cileni
Alianza Anticomunista Argentina, organizzazione paramilitare argentina
Alianza Americana Anticomunista, organizzazione paramilitare colombiana
SID, servizi segreti italiani
P2, loggia massonica golpista italiana

Personaggi coinvolti nell'Operazione Condor

Michael Townley
Stefano Delle Chiaie
Manuel Contreras
Klaus Barbie
Henry Kissinger

Altri progetti terroristici, repressivi e di intelligence legati all'Operazione Condor

Carovane della morte
Operazione Colombo
Operazione Gladio
Strategia della tensione

Note

^ Intervista di Marie-Monique Robin
^ Articolo della BBC sulla partecipazione del Brasile all'Operazione Condor [1]
^ Documenti declassificati della DINA sulla partecipazione del Perù all'Operazione Condor [2]
^ Articolo su Peacelink riguardo la ricostruzione del giudice Guzman dell'Operazione Condor [3]
^ Artcolo su l'Humanitè inerente a sequestri e rapimenti nell'ambito dell'Operazione Condor [4] (in inglese)
^ Videodocumentario di Marie-Monique Robin: Escadrons de la mort - l'école française (Guardalo qui)
^ Rapporto dello Human Rights Watch
^ a b c John Dinges, The Condor Years: How Pinochet and His Allies Brought Terrorism to Three Continents, (in inlgese) New York, The New Press, 2004. 322
^ Articolo Los crímenes de la Operación Cóndor su La Tercera
^ Documenti declassificati C.I.A. sull'Operazione Condor in Cile ([5])
^ Articolo sulle deposizioni di Astiz in tribunale

Voci correlate

Western Hemisphere Institute for Security Cooperation
Guerra sporca
Processo di Riorganizzazione Nazionale
Cile di Pinochet

Collegamenti esterni

Articolo di Noam Chomsky
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Categorie: Servizi segreti | Guerra fredda | Anticomunismo

«Operazione Condor», incubo dell'America latina

L’insorgere delle dittature nei Paesi dell’America Latina aveva creato un gran flusso di esuli e rifugiati politici, che cercavano di riparare nei Paesi confinanti per sfuggire alle persecuzioni politiche. Ma nella seconda metà degli anni ’70 i regimi militari governavano un po’ ovunque. Fu allora che Manuel Contreras, capo dei servizi segreti cileni, ideò insieme alla CIA l’operazione CONDOR. Questa consisteva in una stretta collaborazione fra i servizi segreti, i paramilitari e gli squadroni della morte dei Paesi confinanti. Ad essa aderirono Argentina, Paraguay, Uruguay, Brasile, Perù, Bolivia e ovviamente Cile. Si venne a creare una sorte di “zona franca” in cui i militari potevano spostarsi liberamente per cercare i propri oppositori politici. I militari locali fornivano il loro appoggio nella ricerca, nel sequestro, nella tortura e nell’eliminazione silenziosa degli oppositori. La collaborazione permetteva un notevole scambio di informazioni fra i vari servizi segreti e condusse a una durissima repressione in tutti i Paesi citati. La CIA favorì gli incontri fra i vari agenti sudamericani, fornì addestramento, materiali per la tortura e finanziamenti. Una terza fase dell’operazione portò al controllo e all’eliminazione di politici rifugiatisi al di fuori dell’America Latina, Europa compresa.

La dittatura terrorista mondiale e l'America Latina nel secolo XXI

Negli ultimi 25 anni di politiche neoliberiste 100 milioni di latinoamericani sono caduti in poverta' e ci sono 59 milioni di persone che sono piu' indigneti di 20 anni fa.
7 settembre 2004 - Stella Calloni (trad. A. Bariviera)
Fonte: Argenpres

Questo è il drammatico bilancio che rimane dopo il travolgente uragano neoliberale che ha devastato l'America Latina in questi ultimi 25 anni e che si è riversato sul sottosviluppo e l'ingiustizia già esistenti.

In questo periodo circa 100 milioni di latinoamericani sono diventati poveri e ci sono 59 milioni di indigenti in più riguardo a 20 anni fa.

L'uragano ha travolto anche il ceto medio. Il documento "Desigualdad en América Latina y el Caribe: frattura con la storia? ", del Banco Mondiale (BID) stabilisce che negli ultimi sei anni 23 milioni di latinoamericani di ceto medio sono diventati poveri e l'Argentina che risultava il paese più equo dell'America Latina in relazione al reddito, ora viene paragonata alle zone più povere dell'Africa.

Ed è all'interno di questa cornice che si trovano i più vulnerabili, i bambini, gli anziani, gli indigeni. La precarizzazione dei rapporti di lavoro si sono estesi a livelli senza precedenti, insieme alla disoccupazione, che nel 2003 superò nel continente il suo record storico.

Come segnalato dal sociologo brasiliano Emir Sader "senza programmi economici che diano la priorità alla distribuzione del reddito e non alla stabilità monetaria e alle manovre fiscali, questa agghiacciante situazione tende a peggiorare".

Secondo il BID, la proliferazione della violenza è associata alla crescita della miseria e dell'indigenza nel continente. Un bambino su tre soffre di fame ed il 60% di loro in America Latina sono poveri, nonostante l'enorme capacità del continente di produrre alimenti. Ogni anno 190.000 bambini latinoamericani muoiono per malattie collegate alla miseria, e che potrebbero essere evitate. Attualmente circa 40 milioni di bambini vivono o lavorano nelle strade di America Latina. Solo in America Centrale più di due milioni di bambini sono sul mercato del lavoro.

Sander aggiunge: "Il numero dei bambini che lavorano è uguale a quello degli adulti disoccupati, questo significa che se si evitassi che quei bambini lavorino, quegli adulti potrebbero accedere ai posti di lavoro. I datori di lavoro preferiscono i bambini dato che non godono dei diritti lavorali e finiscono per essere remunerati molto al di sotto degli adulti".

Questa è la realtà che si cinge sulle ombre latinoamericane.

L'aquila che sta sulle nostre teste.

Ed è in questo contesto dove diventano più gravi le minacce contro Cuba e Venezuela da parte degli Stati Uniti. Questa campagna deve mettere in allarme tutta la regione, dato che non è una delle tante nella storia drammatica delle relazioni tra Washigton e America Latina.

Da una parte le elezioni negli Stati Uniti possono portare al superamento dei due candidati. George W. Bush, del Partito Repubblicano, che raggiunse la presidenza attraverso la frode da parte dei gruppi mafiosi cubano-americani della Florida, andò avanti con fare tronfio per colpire Cuba ancora una volta, minacciando con intervenire, tagliando ogni possibilità di aiuto tra i residenti negli Stati Uniti ed i loro famigliari cubani.

Questi provvedimenti da parte di Bush sono stati così duri che, per la prima volta, i cubani residenti a Miami protestarono per le strade di questa città dove vivono ex dittatori e mercenari di tutto il mondo. Ma il candidato democratico John Kerry non rimase indietro. Cercando di guadagnare voti parlò di cercare consenso latinoamericano per finirla con Fidel Castro a Cuba, coprendo di vergogna i gruppi democratici che sono contrari alla politica statunitensi verso l'isola.

Neanche Kerry è riuscito a valutare che, per la prima volta , i democratici potevano andare oltre se prendevano in considerazione lo scontento dei cubani in Florida, stanchi del potere mafioso e terrorista dei gruppi dirigenti alleati con i repubblicani.

Uomini come il sottosegretario di Stato per l'America Latina e i suoi amici, come Otto Reich, cospirano apertamente sia per colpire senza pietà Cuba chiedendo l'intervento militare, che contro il governo del presidente Hugo Chàvez in Venezuela.

Washington minacciò il referendum revocatorio in questo paese, cercando dei
sotterfugi di fronte all'evidenza che l'opposizione non sarebbe riuscita a
superare il numero di voti necessari per vincere su Chàvez.

Inoltre è al corrente delle importanti lotte interne nell'opposizione. Che è in realtà un insieme di gruppi decadenti, un'oligarchia primitiva e parassitaria, un Sindacato dei Lavoratori che difende gli interessi dei padroni e che ha già perso in parte il suo potere, e alcuni gruppi di sinistra che in modo sconcertante si sono uniti a questi attraverso una Coordinadora Democratica, artefice di ogni tipo di golpismo e nella quale si fomenta l'assassinio presidenziale.

Questo è uno degli scenari di questi tempi di canaglie, dove il potere di questa coalizione prepara l'enorme tradimento di consegnare il proprio paese e assieme a lui tutta l'America Latina al nuovo progetto di ricolonizzazione imperiale, che neppure si nasconde per quello che è.

America Latina oggi come non mai si sta giocando il suo futuro e questo richiede un comportamento politico di grande responsabilità e coscienza storica.

E impossibile ignorare questi avvertimenti dato che i mezzi dell'impero come mai prima nella storia, preparano apertamente la strada della ricolonizzazione assieme ad alcuni che si autodefiniscono - come fosse un titolo di onorificenza concesso dal potere mediatico - giornalisti "indipendenti", come se potessero imporsi o "independizzarsi" dallo schema commerciale e dalle alleanze politiche ed economiche dei loro padroni.

Parlano di democrazia guardando verso gli Stati Uniti, il paese che pratica una dittatura mondiale e il terrorismo di Stato, che coinvolge tutto il mondo e che, quando affrontano il tema delle torture in Iraq sembra che stanno scoprendo qualcosa di nuovo, quando la storia ci ha fatto vedere che in tutti quei luoghi dove l'impero è intervenuto, le torture, i massacri e i genocidi facevano parte della normalità.

Non sono così lontani ne il Centroamerica, ne il Vietnam, ne il Cile, ne la nostra America, ne l'Africa, come per esserci dimenticati di come è stata imposta la dominazione e la dipendenza nel mondo, a colpi di bombardieri, cannoni, diplomatici dell'intelligence, nei centri clandestini, con operazioni come Còndor, Colombo e molte altre.

A nome di chi agirono gli assassini, mercenari e torturatori e gli eserciti dittatoriali? Quale è stata la mano che ha cullato tutti i colpi di Stato per imporre le dittature? Quale è stata la mano che stava dietro al rovesciamento dei governi autenticamente popolari, che gli "indipendenti" chiamano in modo sprezzante populisti? E la mano che assassinò i militari popolari come ci sono stati nella nostra regione? Sotto quale ubbidienza dovuta si è imposto il genocidio della nostra America e del mondo?

Ne consegue che adesso provano a farci credere che quella giovane nordamericana che faceva trascinare come un cane un prigioniero irakeno, o
che quelli che costringevano dei detenuti, in un'immagine simile a quella dei campi di concentramento Hitleriani, alle più spaventose umiliazioni, erano trovate occasionali di qualche soldato, di qualche ufficiale.

I responsabili chiari ed evidenti sono George W. Bush e il suo staff, Ariel Sharon e Antonhy Blair e tutti quelli che sono complici nell'azione o nell'omissione di questo nuovo crimine di lesa umanità.

Addestratori israeliani profanando la memoria delle vittime dell'olocausto, insegnando a quelli che sanno già abbastanza sull'argomento della tortura,
come essere più efficaci con gli arabi, le cui abitudini e caratteristiche loro le hanno studiato giorno dopo giorno, per sconfiggerli meglio e per poter stabilire il proprio dominio su di loro.

Chi può dire che non sà cosa sono state l'invasione dell'Iraq e dell'Afganhistan e gli omicidi di massa nelle più terribile delle carceri?
E Guantanamo?

E' questa la democrazia che vogliono per Cuba, per il Venezuela, per l'America Latina?

E' questa la democrazia che si cerca di imporre nel mondo dopo l'apocalittico annuncio della guerra infinita, senza frontiere, annunciata da Bush nei giorni successivi agli attentati del 11 settembre 2001, del quale nessuno sa con certezza di chi è la responsabilità , ma che tutti sanno a chi è servito?

La democrazia del terrore è terrorismo di Stato. E la verità sta venendo a galla e risulta che le famose riprese dell'esecuzioni degli stranieri in Iraq, come si poteva vedere per la gestualità degli esecutori, nelle loro bianche braccia , nel loro modo di stare in piedi, simile a quello dei mercenari di tutto il mondo, nulla avevano degli arabi. Tutto indicava che c'era qualcosa di perverso dietro tutto ciò. E la possibilità che la mano che necessita vivere del terrore sia la stessa che consuma gli attentati dato che i padroni del mondo sono gli unici beneficiari di questo terrore?

Non è un caso che di fronte alla possibilità che Bush perda nelle prossime
elezioni degli Stati Uniti, si stia già parlando dell'esistenza di minacce e che le elezioni potrebbero essere sospese o posticipate per ragioni di sicurezza. Ed è sicuro che salterà fuori qualche video di Osama Bin Laden, l'ex socio di Bush, annunciando attentati negli Stati Uniti o in qualche paese europeo. Dato che sulla strada intrapresa dai guerrafondai della Casa Bianca, e per i temibili "vantaggi" che ha portato a Israele la "guerra contro il terrorismo" che giustifica ingerenze, controllo delle comunicazioni in tutto il mondo, torture, genocidi, distruzione di patrimoni dell'umanità, la fine delle libertà civili, le cantine, le catacombe, i giudici senza volto, tutto è valido.

Su molte cose non rimangono dubbi. Non dovrebbero neanche esserci dubbi
riguardo la mano che culla l'insicurezza in America Latina.
Una insicurezza che terrorizza così tanto da accettare leggi dittatoriali che potranno essere utilizzate nel futuro per il controllo sociale, quando la fame urli così tanto da non permettere di controllare la reazione delle sue vittime.

E' così facile dopotutto creare la sensazione di "insicurezza": poveri totalmente emarginati, giovani senza futuro nei sobborghi della miseria, vittime di violenze più grosse, quelli che hanno avuto in regalo la droga per creargli la dipendenza. E d'altra parte dei governi, in parte deboli, la maggior parte mafiosi, che si sono succeduti alle dittature, come una continuazione delle stesse, e poliziotti corrotti, allenati nel crimine, alimentati nell'impunità. Con tutto questo è facile urlare all'insicurezza.

E non è un caso che passino per l'Argentina personaggi come Oliver North, l'uomo delle azioni sporche incrociate, l'uomo della morte in Centroamerica, il belloccio personaggio della guerra sporca degli Stati Uniti, che era in Uruguay giorni prima dell'attentano contro l'AMIA, adesso avvertendo i governi che avranno bisogno di aiuto contro l'insicurezza. Il lupo accudendo le pecore.

E tutto questo aiuta Washington a vendere nuove armi per la repressione, le moderne "picane" utilizzate da lontano, i nuovi metodi, in tutta America Latina, come di recente ha denunciato Amnistia Internacional (AI).

Gli strumenti di tortura del secolo XXI offerti come l'unica possibilità per controllare l'insicurezza da loro stessi insediata.

E' per questa ragione che i popoli e i loro dirigenti devono stare più che mai in allerta e capire che soltanto l'unità renderà possibile un livello adeguato alla resistenza, che ancora una volta, ma adesso per una questione di sopravvivenza, possiamo fermare la mano del potere imperiale.

La vita dei milioni di abitanti del mondo, la vita dei latinoamericani, il loro futuro , la loro speranza dipendono di questo. America Latina secolo XXI sarà indipendente oppure un'enorme colonia dell'impero. Dipende da noi.



Note:
traduzione di Alejandra Bariviera a cura di Peacelink

L’ America Latina: dall’indipendenza ottocentesca alle dittature militari alla democrazia incompiuta.

L’ America Latina: dall’indipendenza ottocentesca alle dittature militari alla democrazia incompiuta.
Fine XVIII secolo
All’inizio dell’età contemporanea la situazione dell’America Latina è dominata ancora dalla presenza degli imperi
coloniali di Spagna e Portogallo, che sfruttano le terre per le loro risorse minerarie e agricole, instaurando un proficuo
triangolo commerciale atlantico grazie al commercio degli schiavi neri d’Africa, barattati con i manufatti e venduti alle
piantagioni americane, tornando in Europa carichi di merci preziose. Le terre ed i villaggi (encomiendas) erano controllati
da “encomienderos”, tenuti a rispondere alla madrepatria solo sul fronte economico, mentre avevano una notevole
autonomia politica. Gli indigeni o civiltà pre-colombiane (Aztechi nel Messico, Maya nello Yucatan e Incas nelle Ande)
furono quasi completamente sterminati nell’arco di due secoli anche a causa dell’introduzione di malattie che non erano
pronti a fronteggiare. Perciò agli inizi del 1800 la popolazione dell’America Latina è suddivisa in 20% di Creoli
(discendenti dei colonizzatori), 20% di indigeni, 30% di meticci, 30% di neri. I Creoli avevano tutto il potere economico,
ma quello politico era riservato ai viceré e ai loro funzionari.
Indipendenza
Nel corso del 700 l’opposizione dei Creoli alla madrepatria era stata appoggiata e finanziata dagli Inglesi, che
avevano l’interesse di incrinare il florido commercio spagnolo. Quando Napoleone occupò la Spagna (1808), si determinò
nelle colonie un vuoto di potere, che i Creoli, determinati a porre fine allo sfruttamento economico della madrepatria,
riempirono, creando i primi governi locali. In Paraguay e in Venezuela si giunse alla proclamazione di indipendenza sin
dal 1811.
Dopo il Congresso di Vienna (1814) venne restaurata la monarchia spagnola, che liquidò tutti i regimi indipendenti.
Dal 1817 il movimento indipendentista riprese vigore, avvalendosi di personalità come Josè San Martin con l’epica marcia
attraverso le Ande delle truppe rivoluzionarie argentine e la conseguente liberazione del Cile, la cui indipendenza venne
proclamata nel 1818. Presero vita nuove ondate autonomiste che portarono all’affrancamento della totalità dei Paesi del
Centro e Sud America. Intanto Simon Bolivar, principale leader del movimento indipendentista venezuelano, nel 1819
proclama la nascita della repubblica colombiana, occupando Bogotà. Insieme poco tempo dopo i due conquistano il
controllo di Venezuela, Colombia ed Ecuador. Per il Brasile il processo di liberazione dalle colonie avvenne
prevalentemente per via amministrativa in modo pacifico. Il Messico invece vide una larga partecipazione degli indigeni
alla lotta per l’indipendenza, condotta principalmente dal sacerdote Miguel Hidalgo. Lo stesso generale spagnolo
Augustin, incaricato di sedare i rivoltosi, finì col proclamarsi imperatore del Messico.
In generale gli sbocchi della guerra di liberazione sulla carta si indirizzarono verso il modello repubblicano, ma nel
nuovo assetto dei Paesi latino-americani, spiccava la figura autoritaria del “caudillo”, sintesi di monarca e presidente,
eletto dalle oligarchie creole regionali.
Progressiva egemonia degli USA
Il successo dei movimenti indipendentisti nell’America Latina fu favorito dall’atteggiamento assunto dall’Inghilterra e
dagli Stati Uniti, che con Monroe dichiaravano (1823) che avrebbero opposto la forza ad ogni intervento europeo nel
continente americano. Era la dottrina dell’”America agli Americani”, la quale, presentata come una dichiarazione intesa a
salvaguardare l’integrità territoriale del continente, mirava di fatto ad assicurare agli Stati Uniti un ruolo politico ed
economico preminente su tutto il Nuovo Mondo.
Da lì in avanti, (1947 Patto di Rio de Janeiro) gli Stati Uniti affermano progressivamente la propria tutela
economica sull’America Latina, che per un secolo vede scontrarsi tra loro i neo-Stati. Nel caso del Messico, uscendo
vittoriosi dalla guerra, gli USA strapparono la futura California e New Mexico (1846-48).
Dittatura
Agli inizi del 900 il quadro della società era caratterizzato da formidabili sperequazioni: grandi latifondi con rapporti
di lavoro di tipo semi-feudale. La crisi del ’29 ebbe effetti devastanti sulla fragile economia sudamericana: il crollo delle
grandi aziende svuotò le campagne e folle di contadini disoccupati si riversarono nelle città. La crisi innescò una
situazione di instabilità politica e, contro i ripetuti tentativi rivoluzionari, si profilò una serie di soluzioni reazionarie, con
l’insorgere negli anni Trenta di dittature militari appoggiate dai latifondisti, sulla scia del fascismo europeo. Queste
cercarono di controllare la spinta rivoluzionaria alternando dure repressioni di polizia alla strategia delle riforme,
allargando gradualmente il suffragio, promovendo lavori pubblici, creando i primi servizi sociali nel tentativo di stabilire
una sorta di legalità di facciata, sempre pronta a stroncare ogni forma di opposizione, ma adoperandosi per risollevare
l’economia. Tuttavia una reale modernizzazione stentava a decollare e la produzione restava ancorata al latifondo e alle
condizioni semi-servili della manodopera, impedendo che lo sviluppo economico divenisse fonte di emancipazione.
Democrazia incompiuta
Sola eccezione in questo cupo quadro della lotta politica dell’America Latina, è costituita dal Messico, ove la
democrazia, dopo la vittoriosa rivoluzione del 1910-17, non ha ricevuto più attacchi da parte di giunte militari. Il socialista
Lazaro Cardenas, presidente della repubblica (1934-40), distribuì ai contadini metà delle terre coltivabili, nazionalizzando
le miniere e i pozzi di petrolio, espropriati ai capitalisti statunitensi. Tuttavia oggi il Messico si trova in una situazione
economica, che al pari del resto dell’America Meridionale, pesantemente debitrice dei capitali statunitensi.
A Cuba un impetuoso movimento popolare, guidato da Fidel Castro, abbatté la dittatura fascista di Batista (1959),
sostenuta dagli Stati Uniti, e dette vita ad un regime di tipo comunista. La rivoluzione castrista ebbe ripercussioni in vari
Paesi dell’America Latina, dove il governo cubano promosse azioni di guerriglia, che portarono le masse a mitizzare
figure di ribelli come Ernesto Che Guevara e costituirono un nuovo termine di riferimento per i Paesi insofferenti
dell’egemonia statunitense.
In generale fu la minaccia dell’ordine pubblico e del comunismo a spingere i ceti borghesi su posizioni di
conservazione che aprirono la strada a nuove dittature militari negli anni ’60-’70. I militari liquidarono le proteste con una
brutale repressione che costò la vita a decine di migliaia di oppositori, uccisi o fatti scomparire (desaparecidos). Un caso
esemplare è quello cileno del 1973, in cui il generale Pinochet realizzò un colpo di stato contro il governo del socialista
Allende, cercando immediatamente dopo di ripristinare formalmente la legalità, auto-nominandosi presidente della
Repubblica e stendendo un velo sul passato, ma di fatto stroncando ogni ipotesi democratica. Questi passaggi sono tipici
delle repubbliche dell’America Latina, dove il potere dei militari ha per tutto il Novecento reso particolarmente instabili le
democrazie e anche i cauti ritorni a governi civili vivono in verità ancora oggi una vita molto precaria.

Olocausto americano. La conquista del Nuovo Mondo

Olocausto americano. La conquista del Nuovo Mondo

L’agghiacciante libro di David Stannard è un’accorata orazione funebre in memoria delle vittime del più grande genocidio della storia dell’umanità. Un genocidio peggiore di tutti quelli, già terribili, che il Novecento ha iscritto a sua vergogna messi insieme: gli stermini, cioè, di armeni, filippini, zingari, ebrei, tibetani, vietnamiti, bengalesi, timoresi, cambogiani, curdi, tutsi, bosniaci e palestinesi. Un genocidio che ha obliterato il novantacinque per cento della popolazione dell’intero continente americano, un numero imprecisato ma enorme di popolazioni, lingue e civiltà.
La prima parte del libro di Stannard cerca di ristabilire la verità dei fatti, in genere sotterrata dalle menzogne coloniali e cinematografiche che ancor oggi rappresentano le popolazioni precolombiane come scarse, selvagge e incivili. Esse non apparvero così ai primi conquistadores, che oltre ad approfittare della loro ospitalità si stupirono della bellezza della loro arte e della ricchezza delle loro città: alcune delle quali, come Tenochtitlàn o Cuzco, erano parecchie volte più estese e popolate di Siviglia o Londra. Quanto al numero di abitanti delle Americhe, esso si aggirava tra i cento e i centocinquanta milioni: una popolazione superiore a quella dell’Europa dell’epoca, Russia compresa. Venti milioni di persone, sei volte la popolazione dell’Inghilterra, vivevano nella sola valle del Messico, e altrettante nell’America settentrionale.

Anche la diversità culturale e linguistica americana superava di gran lunga quella europea: basta pensare che un recente censimento dei popoli indiani tuttora esistenti in Nord America ha registrato ottocento diverse nazioni, la metà delle quali formalmente riconosciute dal governo degli Stati Uniti. La straordinaria varietà delle civiltà susseguitesi nell’America precolombiana si può apprezzare ancor oggi, nonostante i saccheggi e le distruzioni, visitando i musei dell’oro di Bogotà e La Paz, o i siti archeologici anasazi della Mesa Verde, olmechi di La Venta, zapotechi di Monte Albàn, maya dello Yucatàn, aztechi di Città del Messico, nazca a sud di Lima, chimù di Chan-Chan e inca di Machu Picchu, per non citare che alcuni dei più conosciuti.

La seconda parte del libro di Stannard costituisce l’atto di accusa di un immaginario processo a carico di spagnoli, portoghesi, inglesi e statunitensi di fronte al tribunale della storia: un processo che, se celebrato, farebbe retrocedere quelli di Norimberga e dell’Aia al ruolo di mere appendici. Le imputazioni riguardano quattro secoli di ininterrotti massacri, perpetrati tra il 1494 e il 1891: cioè, tra la prima mattanza spagnola a Santo Domingo (allora Hispaniola) e l’ultima statunitense a Wounded Knee. Il numero di morti varia, a seconda delle stime, fra i settantacinque e i cento milioni: in altre parole, un quarto della popolazione mondiale dell’epoca.

Naturalmente questi numeri tengono conto soltanto delle vittime “indigene” e dovrebbero essere integrati dai numeri delle vittime “importate” dal commercio degli schiavi, che fiorì già a partire dal 1517. Fra i trenta e i sessanta milioni di negri morirono infatti nelle marce forzate verso la costa occidentale dell’Africa, nei campi di concentramento noti come baracoons, a bordo delle galere e nel processo di “acclimatazione” nelle Americhe, mentre una buona parte dei dieci o quindici milioni di sopravvissuti perirono di stenti durante il lavoro forzato. Ma l’“olocausto africano”, tragico complemento di quello americano, è un’altra storia.

Quanto allo sterminio americano, esso iniziò nel momento stesso della scoperta del Nuovo Mondo. Poche ore dopo aver toccato terra nel 1492, Colombo aveva già catturato sei nativi, dei quali scrisse che “dovrebbero essere buoni schiavi e sarebbero facilmente divenuti cristiani”. Il genocidio vero e proprio iniziò a Hispaniola nel 1494, con il secondo viaggio “di scoperta”: nel giro di pochi mesi le malattie, i soldati, i preti e i cani da caccia del “Portatore di Cristo” avevano ammazzato cinquantamila “indiani”, e in vent’anni gli otto milioni di abitanti dell’isola erano scomparsi. La pestilenza europea, letterale e metaforica, travolse successivamente Cuba, i Caraibi, il Messico, il Perù, il Brasile, il Venezuela, la Florida, la Virginia, la Georgia, il New England, il Massachussetts, il Colorado e la California: una via Crucis in cui furono usati tutti quei mezzi di sterminio di massa, dai campi di concentramento ai trasferimenti forzati di popolazioni, che in genere si pensa siano stati monopolio di Hitler e Stalin.

Nella terza e conclusiva parte del libro, Stannard va alla ricerca delle ragioni che hanno portato spagnoli, portoghesi, inglesi e statunitensi al macello dei popoli americani. Queste ragioni sono identificate, sostanzialmente, nel cristianesimo: non sorprendentemente, visto che già Elie Wiesel, premio Nobel per la pace nel 1986, aveva notato che “tutti gli assassini dell’Olocausto erano cristiani, e il sistema nazista non comparve dal nulla, ma ebbe profonde radici in una tradizione inseparabile dal passato dell’Europa cristiana”. Anche le connessioni con il nazismo non sono sorprendenti, visto che da un lato il Mein Kampf modellò esplicitamente il suo progetto sulla “fanatica intolleranza” che caratterizza la storia della Chiesa cattolica, e dall’altro lato Hitler espresse apertamente la propria ammirazione per l’“efficienza” della campagna statunitense di sterminio contro gli indiani, considerandola una sorta di anticipazione della propria soluzione finale.

Più precisamente, Stannard identifica nel dogmatismo della rivelazione biblica, nel delirio della predilezione divina, nel razzismo della superiorità europea, nel fanatismo dell’evangelizzazione, nel disprezzo della natura e nell’orrore della sessualità le radici cristiane di un’ideologia che concepì e perseguì la conquista, lo sfruttamento e la devastazione dei territori “selvaggi” d’oltreoceano da un lato, e la conversione forzata, la schiavizzazione e il massacro dei loro “impudichi” abitanti dall’altro.

Il genocidio americano, indistinto e generalizzato, non ebbe però motivazioni uniformi. Gli spagnoli e i portoghesi, interessati a sfruttare le ricchezze dell’America centrale e settentrionale, considerarono gli indiani come animali da lavoro da sfiancare e rimpiazzare. Gli inglesi e gli statunitensi, intenzionati a occupare il territorio dell’America settentrionale, videro invece gli indiani come un impedimento da rimuovere ed eliminare. Se nel primo caso il genocidio fu un mezzo subordinato allo sfruttamento, e permise all’America Latina di mantenere una rappresentanza indiana consistente, per quanto repressa e sottosviluppata, nel secondo caso la pulizia etnica fu invece un fine autonomo perseguito in maniera sistematica.

Cinquecento anni dopo la conquista l’America porta il nome di un italiano, parla tre lingue europee e adora una divinità mediorientale. Le lingue e le religioni indigene sono scomparse, il novantacinque per cento degli indiani è stato annientato e il novantacinque per cento delle ricchezze del continente è stato depredato. Ma le due anime della conquista hanno condizionato diversamente la storia del continente. In accordo con la dottrina Monroe, oggi “l’America è degli americani”: cioè degli Stati Uniti, che insieme all’Europa urlano reclamando vendetta per le pagliuzze del terrorismo, ma non chiedono perdono per le travi del genocidio neppure sottovoce.

Testo di Piergiorgio Odifreddi

David E. Stannard
Olocausto americano. La conquista del Nuovo Mondo
ed. orig. 1993, trad. dall’inglese di Carla Malerba,
pp. 455, 32 ill., € 38,73, Bollati Boringhieri, Torino 2001

Olocausto americano.

Centro Librario
"Knut Hamsun"

da "Avanguardia" n°195 - Aprile 2002

David E. Standard
Olocausto americano. La conquista del Nuovo Mondo
Bollati Boringhieri, Torino 2001, pp. 455, euro 38,73

... Nelle nostre allucinazioni, nelle nostre visioni, così come
nei nostri deliri (ragionati), abbiamo sempre intravisto il
soggetto politico rivoluzionario, anticapitalista ed antistatunitense ...

L'ingloriosa conquista dello spazio continentale americano da parte delle potenze colonialistiche europee, specificamente quella spagnola, inglese e portoghese, rivestite da una ideologia di stampo esclusivista di origine giudaica, purista e presbiteriana, rappresenta una delle pagine più ignominiose e brutali sulla quale si dovrà ancora ampiamente riflettere per arrivare a comprendere integralmente la contemporanea dittatura instaurata dall'imperialismo capitalistico, forte dell'apparato militare e tecnologico statunitense, che continua a radicarsi sull'intero pianeta. A scanso di ogni equivoco, bisogna divulgare e comprendere che lo sterminio degli Amerindi rappresenta un olocausto senza precedenti; dai settanta ai cento milioni di nativi furono uccisi a causa delle violenze e delle torture inflitte dalla avida e putrida feccia d'Europa, insieme alle molteplici malattie virali che lì esportarono ai danni di intere e popolose comunità che ne erano immuni.

Un olocausto -quello autentico e non quello artificioso montato dalla inesauribile macchina propagandistica giudaico-sionista- iniziato con lo sbarco nelle Indie dell'ebreo genovese, già contraddistintosi nella tratta degli schiavi in Africa, Cristoforo Colombo, sotto le insegne della croce cristiana e della corona aragonese, fino ai massacri di Wounded Knee e di Sand Creek avvenuti alla fine del XVIII secolo sotto le bandiere dell'etica protestante, che dava già origine al capitalismo moderno, e della dinastia dei reali d'Inghilterra. Ancor oggi in America Centrale continua lo sterminio dei nativi a causa della politica neocolonialistica che gli USA adottano nell'area, con il supporto economico-militare a governi corrotti e criminali che godono di ogni immunità per il sol fatto di agire in nome e per conto del biglietto verde statunitense. In un rapporto del 1986 della Commissione per i diritti umani è stato riportato che solo in Guatemala, dal 1971, erano scomparse quarantamila persone ed altre centomila erano state assassinate.

Nel suo prologo al libro, Stannard ha scritto: «Appena ventun anni dopo il primo sbarco di Colombo ai Caraibi, l'isola vastamente popolata che l'esploratore aveva rinominato Hispaniola era divenuta una terra isolata; quasi otto milioni di persone ‑che Colombo aveva scelto di chiamare Indiani‑ erano state uccise dalla violenza, dalla malattie e dalla disperazione (...) Nel giro di poche generazioni, in seguito all'incontro con gli europei, la maggioranza dei nativi dell'emisfero occidentale era stata sterminata. II ritmo e la portata del loro annientamento variò nello spazio e nel tempo, ma per anni, fino a tempi recenti, gli storici hanno rivelato, regione dopo regione, un calo demografico compreso tra il 90 e il 98 per cento, con tale regolarità che la media del 95 per cento è considerata un valido criterio di approssimazione». (cfr. p. 10)

Noi lasciamo la trascrizione storica degli avvenimenti e la descrizione dell'immensa civiltà costruita nei millenni da Aztechi, Inca e Maya -per citare i più noti ai più, così come in seguito Sioux e Cheyenne, Apache e Cherokee, Mohicani ed Uroni‑ al libro, così come alcune comparazioni e posizioni dell'Autore (nei confronti dell'esperienza rivoluzionaria per l'autodeterminazione e la libertà del popolo Germanico condotta dal Reich Nazionalsocialista) che non condividiamo.

A noi interessa discutere ed analizzare un fenomeno che, iniziato già nel 1492 a causa di un retroterra culturale ed economico, vedeva perire l'Europa nelle spire del mercantilismo usurocratico primordiale, tessuto da insaziabili speculatori che davano così origine allo sfruttamento capitalistico che ben note famiglie di origine giudaica, impiantate negli Stati del Nord Europa, iniziavano a collaudare. Sfruttamento ancora in corso oggi attraverso le dinamiche mondialiste supportate dall'imperialismo giudaico‑statunitense, pronto addirittura ad usare armi atomiche «tattiche» contro chiunque si ponga di traverso ai suoi interessi, e dal vasto agglomerato di progetti e di speculazioni che multinazionali ed istituzioni tecnocratico bancarie mondiali conducono a viso aperto. Infatti, la corte reale spagnola, indebitata per le continue guerre che si combattevano in terra europea, diede via libera ai conquistadores in cerca dell'Eldorado, di quell'oro che oltre a «salvare» il Regno avrebbe «regalato» qualsiasi ricchezza all’incommensurabile avidità dei marrani. Tenochtitlàn con le proprie celestiali bellezze date dagli Dèi al popolo degli Aztechi, così come Cuzco coi suoi templi avvolti dalle perenni nuvole delle Ande e la gioiosa esistenza degli Inca erano avvertite. Anche la comu­nità dei Maya, una delle civiltà più splendide della cultura mesoamericana, avrebbe subito l'impressionante opera di sterminio come di seguito riporteremo.

È doveroso descrivere, seppur brevemente, come si sviluppavano e come vivevano questi meravigliosi popoli ordinati secondo un siste­ma politico‑economico che a ragione possia­mo descrivere come comunistico-aristocratico. Le armoniose ed equilibrate società dei nativi americani, integrate religiosamente in un con­testo di consonanza col Kosmos, le possiamo riscontrare, di seguito, nelle idee e nelle opere degli utopisti quali Campanella e Moro, come in Charles Fourier.

L'impero dei Maya si estendeva su una vasta area di più di 2500 chilometri quadrati, dalla regione dello Yucatàn nel Messico meridiona­le, attraverso i confini di quelli che attualmente sono Guatemala e Belize, fino ai confini di Honduras ed EI Salvador. Lì sorgevano decine di città importanti ricche di monumentali opere artistiche e architettoniche, città come Kaminaljuyù, il centro principale dello sviluppo dell'antica civiltà maya, Yaxchilàn, Copàn, Uxmal e Tuia, e la ricca Chichèn Itzà. Avanzate tecniche agricole permettevano ai contadini dì ottenere enormi raccolti dalle terre coltivate, e l'ingegnoso sistema di raccolta del­le acque fornivano mezzi di sostentamento tali che la densità di popolazione delle comunità rurali maya raggiunse e superò i duecento abi­tanti per chilometro quadrato. L'universalità dei Maya, la loro religiosità, «è priva del fatalismo che caratterizza il nostro modo esistenziale di conoscere l'universo, in cui il ruolo significativo degli esseri umani sembra sminuito. Queste persone non reagivano al flusso degli eventi naturali lottando per dominarli e controllarli. Nè si consideravano osservatori passivi dell'essenziale neutralità del mondo della natu­ra. Credevano piuttosto di essere intermediari e partecipanti attivi del grande dramma cosmi­co. Provavano interesse per tutti gli avveni­menti terreni. Partecipavano ai rituali, aiutava­no gli dei della natura a trasportare il loro peso lungo l'arduo cammino che dovevano intra­prendere (...) Vivevano in un equilibrio invidiabi­le, una totale armonia nell'accordo tra umanità e natura in cui ognuno rivestiva un ruolo signi­ficativo». (cfr. p. 72‑73)

«Procedendo verso sud, dalla zone più setten­trionali delle Ande si giunge nella regione in cui, ai tempi di Colombo, si trovava l'impero più vasto del mondo, la terra degli Inca che si estendeva, lungo la catena montuosa occiden­tale del Sud America, per una superficie pari alla distanza attuale tra New York e Los Angeles». Come ebbero a riportare gli stessi invasori le città degli Inca erano costruite con enorme cura e precisione, con palazzi di pietra finemente lavorati. Strade estremamente puli­te, grazie ad un sistema di canali che permet­tevano alle acque distribuite dalle abbondanti piogge di lavare continuamente il selciato. Essi abitavano in abitazioni rivestite di legno di cedro, dormivano su amache o su ampi mate­rassi di foglie di palma.

«La spiritualità inca era profondamente radica­ta nelle meraviglie e nel ritmo ciclico del mon­do naturale e nel legame culturale con l'infinita serie di antenati e discendenti che avevano vissuto, e avrebbero continuato a vivere per sempre tra quelle pianure, quelle valli e quelle montagne meravigliose». Tanto da poter ammettere che, «II legame tra la vita e la morte e tra il genere umano e l'ambiente naturale percepito dai popoli andini era profondamente diverso da quello spagnolo e cristiano. La terra che circonda un popolo racconta la storia dei primi antenati e di quelli che verranno dopo. (...) A est delle terre in cui vivevano gli Inca, al di sotto delle cime maestose delle Ande, si estende la fitta giungla dell'Amazzonia, seguita dagli altipiani brasiliani e poi dalle pampas dell'odierna Argentina, nel complesso ben più di dieci milioni di chilometri quadrati di terra, un'area maggiore di quella degli Stati Uniti. In quelle terre, dove sorge la foresta più vasta dei mondo e scorre il fiume più grande del mondo, vivevano popoli così numerosi ed esotici che i primi visitatori occidentali non riuscivano a comprendere se si trattasse dei leggendari abitanti del paradiso terrestre, di una confede­razione di demoni maligni o di entrambi». (cfr. p. 83)

II 3 agosto 1492 avrà così inizio la corsa verso il nuovo continente, un avvenimento che assumerà il significato di innumerevoli sofferenze ed atrocità, schiavitù e morte, per diecine di milioni di esseri umani.

Ovunque Colombo piantò una croce, procla­mando il possesso delle terre in nome dei sovrani di Spagna che avevano finanziato il viaggio, in un secondo momento agli indigeni già imprigionati veniva letto un proclama, in una lingua che gli Indiani sconoscevano, col quale essi dovevano giurare fedeltà al papa ed al sovrano spagnolo. Era il prologo di uno ster­minio pianificato.

«Ovunque giunsero durante il loro viaggio di ispezione, i predatori spagnoli, malati, perico­losamente armati e accompagnati da cani feroci addestrati a uccidere e a sventrare, devastarono le comunità locali ‑già indebolite dalla pestilenza‑ obbligandole a fornire cibo, donne, schiavi e tutto ciò che desideravano. A ogni sbarco precedente le truppe di Colombo si erano recate sulla terraferma e avevano ucciso indiscriminatamente, quasi per diverti­mento, qualsiasi animale, uccello o nativo avessero incontrato, «saccheggiando e distrug­gendo tutto ciò che trovavano», come Fernando, il figlio dell'ammiraglio, affermò con distacco.

«... I raccolti furono lasciati marcire nei campi mentre gli indiani tentavano di fuggire dalla fre­nesia degli attacchi dei conquistatori. La fame, insieme alle epidemie e alle uccisioni di mas­sa, diede il suo contributo alla sofferenza dei popoli nativi». (cfr. pp. 133‑134). Prima di infie­rire sui nativi, gli spagnoli chiedevano loro di abbracciare il paradiso cristiano. Come avven­ne per un indio di nome Hatuey che aveva cer­cato di salvare alcuni del suo popolo fuggendo da Hispaniola a Cuba. Fu bruciato su un rogo e mentre arrostiva, «un frate francescano lo esortò a lasciar entrare nel suo cuore Gesù, così la sua anima sarebbe andata in paradiso anzichè scendere negli inferi. Hatuey rispose che se il paradiso era il luogo dove andavano i cristiani, allora preferiva andare all'inferno».

Cortès e Pedro de Alvarado, Lopez de Salcedo e Vasco Nunèz de Balboa, Hernando Pizarro e Lope de Aguirre, tra i tanti, furono quelli che maggiormente macchiarono le loro anime bestiali di inaudite infamie. A conquista avvenuta i territori occupati dai conquistadores videro l'estinzione dei loro popoli. Nel Messico centrale la popolazione diminuì del 95 per cento: dai 25.000.000 di persone del 1519 ai circa 1.300.000 del 1595. Nel Nicaragua occidentale morì il 99 per cento della popola­zione. Nei territori appartenenti oggi al Cile ed al Perù, dimore millenarie dell'impero degli Inca, prima dell'arrivo della feccia europea vivevano dai 9 ai 14 milioni di persone: alla fine del 1500 almeno il 94 per cento della popolazione era stata uccisa dai soldati di Pizarro.

Nell'America del Nord, agli Indiani toccò la stessa sorte che qualche tempo prima era appartenuta ai «barbari» irlandesi. Quando gli inglesi portarono a termine la fondazione di Jamestown, nell'attuale Virginia, segnarono il loro dominio con una croce, così come fecero gli spagnoli. Oltre allo sterminio ed alle torture, le truppe inglesi di Thomas Hariot e di Francis Drake seminarono malattie e morte in tutta la Virginia. Nel 1564 ebbe inizio un periodo di malattie e carestie che, in pochi anni, ridusse drasticamente la popolazione della Virginia, mentre una pestilenza devastante cancello quasi un gran numero di nativi Timucua in Florida. «Nel 1624, in un'unica battaglia, ses­santa inglesi armati uccisero ottocento indiani indifesi ‑uomini, donne e bambini‑ che si tro­vavano nel proprio villaggio. E naturalmente, come accadde ovunque, le malattie introdotte dagli europei contribuivano ad abbattere la resistenza indiana». (cfr. pp. 181‑182)

Anche nel Nord la percentuale dei nativi diminuì sen­sibilmente; intere nazioni vennero sterminate: il popolo dei Mohicani aveva subìto il 92 per cento di morti, mentre delle trentamila unità che caratterizzavano il popolo Quiripi­-Unquachog, dopo cinquant'anni ne erano rimasti appena 1500.

Gli anni dell'occupazione del West e le famose guerre indiane, che seguirono la guerra civile americana, segnarono la fine dell'identità e della nazione dei Pellirosse. Coloni avidi d'ogni bene materiale, la crudele politica espansionista governativa, insieme agli inganni ed a trattati mai rispettati dai colo­nizzatori, mescolati ad una ideologia razzi­stico‑positivista che vedeva nei nativi non degli esseri umani, bensì delle creature del diavolo, delle bestie inumane lontane dalla grazia del Cristo, furono le componenti che diedero il segnale per il definitivo abbando­no ad ogni sorta di razzia e di omicidio.

Prima della brutale opera di repressione ope­rata dalle «giacche blu» a Sand Creek (assassi­nio ricordato da Fabrizio De Andrè in una sua intensa canzone), un quotidiano ad uso dei giudeo‑cristiani ‑il “Rocky Mountain News”‑ esortava allo sterminio dei Pellirosse. Nel mar­zo del 1863, così scrisse, tra l'altro, il direttore sugli indiani: «Sono una razza dissoluta, vaga­bonda, brutale ed ingrata e dovrebbe essere cancellata dalla faccia della terra». L'animo insensibile e demoniaco del bianco euro­peo giudaizzato venne allo scoperto e lo ritroviamo in una espressione del presiden­te degli USA, l'ebreo Theodore Roosevelt, che qualche anno dopo ebbe ad affermare che il massacro di Sand Creek era stato «... un'impresa virtuosa e benefica come quelle compiute alla frontiera». [1 ]

Quanto successe, in altra occasione, a Wounded Knee nel Sud Dakota, ove fu compiuta da parte dell'esercito degli USA una car­neficina di indiani Sioux, resterà nella storia. «Centinaia di uomini, donne e bambini Lakota ‑scrive Stannard‑ furono uccisi dai potenti cannoni Hotchkiss (...) del 7° cavalleria e i sopravvissuti al massacro furono seguiti per miglia e uccisi in modo sbrigativo, perchè e solo perchè il sangue che scorreva nelle loro vene era sangue indiano».

«A quasi cinque chi­lometri di distanza dal luogo della strage tro­vammo il corpo di una donna completamente ricoperto da uno strato di neve ‑scrisse uno dei testimoni della carneficina‑ e da lì in poi ne trovammo diversi, sparpagliati dappertutto, come se fossero stati inesorabilmente scovati e uccisi mentre fuggivano per mettere in salvo la vita (...) Quando raggiungemmo il luogo dove sorgeva l'accampamento indiano, tra i frammenti delle tende bruciate e altri oggetti personali vedemmo i corpi congelati, distesi uno vicino all'altro o ammucchiati. Le donne ed i bambini costituivano più dei due terzi degli indiani morti ...». (cit. p. 209)

Malgrado l'irriguardosa opera di sterminio che il bianco europeo giudaizzato compì ai danni degli Indiani d'America, ci furono migliaia di coloni che lasciarono alle spalle la propria identità per aderire alle comunità dei nativi: essi venivano attratti dalla tranquillità e dalla generosità, dalla fedeltà e dall'etica comunita­rista che la società indiana rifletteva. I bianchi, «... vi rimasero perchè scoprirono che lo stile di vita indiano era caratterizzato da un forte senso di comunità, da un profondo amore e da una straordinaria integrità, valori che i coloni europei tenevano in gran conto, sebbene con meno risultati. Ma la vita indiana risultava allet­tante anche per altri valori, per l'eguaglianza sociale, l'instabilità, l'avventura e, come hanno riconosciuto due adulti convertitisi a quella vita, «la più totale libertà, la serenità dell'esi­stenza (e) la mancanza di quelle ansie e di quelle preoccupazioni logoranti che così spes­so dominarono la nostra vita».

Nessun india­no aderì, per scelta, allo stile di vita dei coloni, se non con la violenza... (cfr. James Axtell, “The invasion within: The contest of cuitures in colonial North America”, New York 1985, p. 178)

Sarebbe una irriguardosa ripetizione il riporta­re sulle pagine del mensile Avanguardia tutti i misfatti che, dal 1492 in poi, caratterizzarono l'operato dei coloni europei nelle Americhe ai danni dei nativi, ampiamente citati e documen­tati da Stannard nel suo libro.

L'adesivo ed il manifesto con Geronimo che la nostra Comunità Politica ha realizzato per la propaganda politico‑militante racchiude in poche righe il nostro pensiero sui marrani tra­sbordati oltreoceano. II libro da noi qui recensi­to rappresenta un'opera meritoria per ricordare tutte le sofferenze degli Indiani; l'opera dello statunitense Stannard merita di essere letta, poichè è riccamente documentata ed offre del­le ampie ed acute riflessioni sul tema.

L'onestà intellettuale che ci caratterizza ‑negli anni i dibattiti ed i rapporti dialogici intrapresi e cercati da Avanguardia con realtà differenti in antagonismo al mondialismo (dagli ambienti dei tradizionalisti cattolici a quelli dell'Islám Rivo­luzionario e Tradizionale, dai compagni agli anarchici, ai centri sociali ecc. ecc.) ed alla usu­rocrazia di stampo mercantile e liberalcapitali­sta sono stati diversi‑ ci porta a qualificare ed a ritenere necessaria la lettura de "Olocausto americano". Allo stesso modo affermiamo però che nutriamo delle fondate perplessità, meglio non condividiamo il tentativo dell'Autore di por­re in parallelo (cfr. il terzo capitolo dedicato a Sesso, razza e guerra santa) lo sterminio del Popolo Indiano per mano, ripetiamo, di bianchi europei già pervasi da un animo e da una pras­si razzistica di matrice ebraica e materialista, con certi aspetti che caratterizzarono la batta­glia condotta dal NSDAP in Germania, radica­ta per l'affrancamento del popolo tedesco dalla schiavitù del capitale ebraico che materialmente lo relegava nella quotidianità ai margini della società ed in uno stato perenne di miseria e di precarietà.

Non condividiamo, affatto, le affermazioni di Stannard sull'operato fondato su sedicenti basi di superiorità razziale dei coloni europei, che depredarono ed assassinarono gli Indiani, e poste in un pressochè costante parallelo con i dettami politico‑dottrinari del partito nazional­socialista. Anche se in alcuni circoli legati ad una visione pangermanista, antecedenti alla nascita ed al successo del NSDAP, vigeva un riflesso razzista legato ad un'idea che traeva origine da un positivismo di stampo biologico e darwinista.

Non si può legare l'operato dei presbiteriani e dei puritani, degli schiavisti giudeo‑cristiani e dei calvinisti, con la rivoluzione crociuncinata. È una stonatura dottrinaria molto evidente; i nazionalsocialisti vedevano nell'ebreo non il debole da sterminare, bensì il potente, l'usur­patore, che attraverso il dominio della banca e dell'oro ‑lo stesso che i loro antenati sbarcati nelle Americhe tolsero ai nativi attraverso lo sterminio‑ aveva inghiottito e sopraffatto il lavoro e la tradizione del proprio popolo, così come avvenne in Romania, in Ucraina, in Rus­sia o in Polonia. II Reich Nazionalsocialista non compì nessun olocausto, nè alcun genoci­dio, tanto che gli ebrei sono vivi a milioni (al contrario dei nativi) e presenti in tutto il mondo, Europa compresa, soggetto attivo di un nuovo genocidio condotto in terra di Palestina.

Le dichiarazioni razziste che traducono l'olo­causto americano le troviamo, ancora una vol­ta, nelle parole di un presidente statunitense del XX secolo: l'ebreo Theodore Roosevelt, quando egli ha potuto affermare che lo stermi­nio degli indiani d'America e l'espropriazione delle loro terre erano, in definitiva, positivi ed inevitabili.

«Queste conquiste ‑continuava‑ avvengono quando un popolo autoritario, seppur al princi­pio primitivo e rozzo, si trova faccia a faccia con la razza più debole e completamente aliena che nella sua scarsa capacità di comprensione costituisce un premio agognato». (cit. p. 389)

II massacro, in effetti, continua. Continua con le divaricazioni sociali in ogni angolo del mon­do e, in primo luogo, nelle società così definite ricche ed opulente dell'Occidente. Continua in Palestina. Continua ai quattro angoli del piane­ta per mezzo delle ristrutturazioni imperialiste, segnate dalle armi dei nuovi conquistadores a stelle e strisce.

Abbiamo allestito questa recensione, anche per denunciare, ancora una volta, la letale poli­tica condotta dal governo degli Stati Uniti d'America, se per caso ce ne fosse ancora la necessità. Colonizzato l'Afghanistan, in nome di una spudorata quanto falsa guerra al terrori­smo, essi adesso, in un documento ufficiale, si dicono disposti ad usare delle «mini bombe» atomiche [2] contro chiunque potrebbe addirit­tura mostrare resistenza nei confronti delle loro rappresaglie. Da ciò si deduce che l'uso di ordi­gni nucleari o termonucleari, «non è più limitato alla rappresaglia, dunque alla "deterrenza" del "se ci colpite noi, noi colpiremo voi" che aveva retto l'equilibrio della Guerra Fredda. II loro lan­cio è possibile nel caso di non precisati "svilup­pi militari inattesi", a discrezione dei comandi americani, contro qualsiasi bersaglio sia giudicato utile. (...) L'arma di "ultimo ricorso", quella bomba da impiegare per disperazione, diventa così un'arma "normale", uno strumento di attacco primario e banalizzato che i generali potranno utilizzare, specifica il documento, "contro obiettivi militari resistenti a esplosivi convenzionali, come bunker o rifugi rinforzati». [3] Nel comprendere tale e tanta follia, praticata da menti che attualizzano e ci consegnano pro­prio lo stereotipo di quei bramosi, ingordi, colonizzatori, affermiamo che faranno bene i popoli ‑quelli liberi, s'intende, quelli che non si ricono­scono nel volgare corso della politica capitalistica ed in quella militar-imperialistica propria degli USA‑ a costituire prima possibile un fron­te unito che combatta tenacemente quanto tiene in catene tutta l'umanità. Nelle nostre allucinazioni, nelle nostre visioni, così come nei nostri deliri (ragionati), abbiamo sempre intravisto il soggetto politico rivoluzionario, anticapitalista ed antistatunitense ...

Leonardo Fonte

Note:

1] citato in Thomas G. Dyer, “Theodore Roosevelt and the idea of Race”, Louisiana State University Press, Baton Rouge, p. 79;

2] "L'ordine di Bush al Pentagono: Pronti ad usare l'atomica", su “la Repubblica” del 10 marzo 2002, p. 17;

3] ibidem

STORIA - I CENTO NOMI D'AMERICA

STORIA


Autore : Rojas Mix, M.
Titolo : I cento nomi d'America
A cura di : Ciabatti, A.
Collana : Latinoamericana - 6
Argomento : Storia
ISBN : 8871669444
Anno : 2006
Pagine : 248
PREZZO: € 21,50 € 18,27
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Come chiamare l’America che va dal Messico all’Argentina? Colombo e i suoi contemporanei parlavano di Indie Occidentali. Oggi parliamo di America Latina, di Ispanoamerica, di Indoamerica, di America tout court. Ma quale immagine racchiude ciascuno di questi termini? Nessuno si dimostra neutro o innocente: ci sono espressioni che manifestano volontà di dominio, e altre che raccontano il desiderio di indipendenza, di recupero della dignità calpestata. Le popolazioni indigene si riconoscono in qualcuna di queste definizioni? E il resto del mondo, Europa in primis, come vedeva e come vede oggi il Nuovo Mondo? Perché e quando il termine America, che all’epoca di Amerigo Vespucci indicava esclusivamente l’America meridionale, è diventato sinonimo di USA?
A queste domande e ad altre ancora cerca di rispondere Miguel Rojas Mix con questo libro in cui analizza ciascuno dei termini usati dal 1492 a oggi, ricostruendone la genesi e la filosofia. E alla fine di questo attento percorso lungo la storia, la domanda è ancora questa: all’alba del terzo millennio, siamo pronti per risolvere la questione dell’anima multirazziale e multiculturale dell’America?